i contributi di
Correnti di Marea
La città
di Maria Campitelli (C.M.1)
Frastuono di rumori e di immagini, ma spesso deserto dell'anima, la città è ancor sempre il referente primario per accogliere l'arte, o quella comunicazione diramata in cui essa oggi si è trasformata. Abbiamo pensato di avviare un discorso - senza alcuna pretesa esaustiva nè sul piano esemplificativo, nè su quello delle problematiche - su questo tessuto polivalente e polimorfo nelle cui trame s'innesta comunque la voglia operativa, insopprimibile, di chi intende emettere dei segnali, di allacciare con essi rapporti, di costruire reti, non importa se elettroniche o meno, con o senza l'ausilio del "sistema dell'arte", che da più punti scricchiola. Perché della sua crisi in genere e del mercato in particolare, sentiamo parlare ormai da molti anni e di un malessere, di una insoddisfazione che spinge gli artsti e gli operatori a trovare nuove modalità operative, nuovi spazi, da occupare in maniera diversa.
L'inflazione delle iniziative culturali (o camuffate per tali), la noia di un pubblico sempre più demotivato, la necessità di stimolazioni spettacolari per catturare un'audience impigrita, il bombardamento pubblicitario, tutto ciò annichilisce un'operatività peraltro diffusa, ma spesso asfittica ed angosciata.
Come si muove l'artista oggi e che rapporti intrattiene con la città? Ci sono sintomi e desiderio soprattutto di battere nuove strade. Gli artisti si raggruppano, organizzano mostre, passando sul versante "curatoriale"; penetrano nell'urbano, si esprimono in parallelo con il quotidiano, dimostrano di voler scavalcare il "sistema"; i critici cercano altri luoghi o non-luoghi per proporvi l'arte anche perché ci si allontana sempre più dal concetto di "opera" per scivolare nel comportamento. Quasi un doppione - metaforico ma non necessariamente - dell'esistenziale. Un esempio indicativo può essere la mostra "Compartments" della scorsa estate a Kopenhagen, promossa e gestita da gruppi di artisti che esibiva i più disparati materiali operativi, dall'organizzazione di mostre alle fanzine. Lo scorso dicembre Viafarini di Milano ha realizzato un'operazione analoga, una documentazione sulle organizzazioni non-profit e sui progetti degli artisti. A Parigi si è conclusa da poco la mostra "Life/live", un titolo piuttosto eloquente, al Museo d'Arte Moderna, dedicata agli artisti indipendenti inglesi, a cura di Hans Ulrich Obrist e Laurence Bossè. Si direbbero segnali di svolta.
Nella dialettica tra "centro" e "periferia" (termini ancora attuali, anche se leggibili da diverse angolazioni e persino interscambiabili, come risultato nel vivace meeting di Viafarini) c'è chi, come il teorico francese Paul Ardenne, considera un privilegio operare all'interno della "periferia artistica", indipendenti dal concentramento di potere.
E le pubbliche istituzioni che fanno? Generalmente vivono nella latitanza del contemporaneo che temono in quanto avulso dalla mentalità corrente. La storia è molto più rassicurante. Tra le gallerie private ne spunta qualcuna, come la rinnovata Neon di Bologna, che si orienta coi tempi mutati, che più che un luogo espositivo, ambisce ad una sede d'incontro, di scambio di idee.
In questo numero ospitiamo informazioni, riflessioni, posizioni anche salutarmente antitetiche su questi temi; provengono dai posti più disparati, dalle grandi capitali, da città curiosamente assenti nei confronti dell'arte e dai posti più remoti e negletti.